lunedì 30 marzo 2009

Lo zero: non solo aritmetica

Lo guardi e non lo vedi lo ascolti e non lo senti ma se lo adoperi è inesauribile
(dal “ Tao Te King” di Lao Tse, VI sec a.C.)

E’ il Tao, l’Assoluto, ma sono parole che si adattano bene anche allo zero, un numero molto speciale e, per molto tempo, avversato, che richiede un esame attento. E’ un numero nel cui substrato si annidano, oltre la matematica, i concetti del Nulla e dell’Infinito.
Il concetto di zero, appartiene alla cultura indiana, come del resto le altre cifre dall’uno al nove, oggi in uso, fu, in Europa, inizialmente guardato con sospetto, in fondo usare lo zero comportava l’ammissione dell’esistenza del Nulla, con le relative implicazioni filosofiche e religiose.
Questa avversione aveva radici lontane: i greci, sia in epoca classica che in epoca ellenistica, non danno un valore numerico al nulla. Per di più grandi filosofi, come Platone ed Aristotele, ne teorizzavano la non esistenza. Se il niente non può esistere, non può esistere neanche un numero che lo rappresenti e su questo indirizzo era anche la chiesa.
Gerberto d’Aurillac, celebre matematico,più conosciuto come papa Silvestro II nel 999, è stato fra i primi divulgatori, nella cultura occidentale, delle cifre indiane e dello zero. Cifre, trasmesseci dagli arabi, che aveva conosciuto durante un suo viaggio in Spagna nel 967. Molti dubbi rimanevano tra i teologhi più intransigenti ma, da lui in poi,lo zero assume il suo ruolo fondamentale, tanto che in un manoscritto del monastero di Salem, del XII secolo si può leggere:“Ogni numero nasce dall’Uno e questo deriva dallo Zero. In questo c’è un grande sacro mistero: Dio è rappresentato da ciò che non ha né inizio né fine; e proprio come lo zero non accresce né diminuisce un altro numero al quale venga sommato o dal quale venga sottratto, così Egli né cresce né diminuisce”.

Lo zero ha la proprietà di “essere” il nulla o l’infinito, moltiplicando un numero per zero il risultato è sempre zero, dividendo un numero per zero il risultato è infinito. Dunque lo zero è l’ alfa o l’omega: il principio o la fine.

Forse dipende da noi la scelta dell’operatore: moltiplicare o dividere?
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Alcune notizie sulla storia dei numeri.
I numeri sono antichi tanto quanto il genere umano, anche l’uomo del paleolitico doveva contare “qualcosa” ed è sempre stata una necessità della vita di tutti i giorni. Ad esempio nella pastorizia, contare il numero dei capi era essenziale, ma intuitivamente si partiva dal numero uno: 1 pecora,2 pecore etc. Che significato poteva avere zero pecore? Nessuno a quel tempo. Per questo motivo gli antichi popoli come egizi, greci, romani non conoscevano lo zero, i babilonesi che erano molto evoluti, consideravano due simboli cuneiformi,quasi due barrette oblique, non tanto come zero quanto come mancanza di una cifra. (Il sistema babilonese era sessagesimale )




Molto probabilmente i primi ad adottare lo zero, come numero, furono i Maya,con il loro sistema vigesimale ,cioè in base venti.


I Maya per indicare un ordine numerico vuoto inventarono lo zero. Lo rappresentavano usando diversi glifi per lo più a forma di conchiglia. Si pensa che l’introduzione del numero zero sia dovuta anche per motivi religiosi, non dimentichiamoci che i maya avevano elaborato un calendario molto preciso e sapevano fare calcoli astronomici elaborati, che servivano a determinare le date delle ricorrenze religiose. Un calendario che arriva fino al nostro 2012!!!
Il Brahmasphutasiddhanta costituisce la fonte più antica conosciuta,dopo i maya, a considerare lo zero un numero ed enuncia anche regole aritmetiche e sui numeri negativi.
L’aspetto più interessante è l’ usare un numero limitato di simboli con cui scrivere tutti i numeri, secondo alcuni studiosi, dovuto alla conoscenza diretta o tramite i greci, del sistema sessagesimale babilonese, ben più antico. Gli indiani avrebbero allora iniziato ad utilizzare solamente i primi 9 simboli del loro sistema decimale in caratteri Brahmi, in uso dal III secolo a.C. Questi simboli assumono forme leggermente diverse secondo le località ed il periodo temporale, ma sono comunque questi che gli arabi più tardi copiarono e che, in seguito sono passati in Europa fino alla forma definitiva standardizzata dalla stampa nel XV secolo.

Indiani (XI sec. d.C.)
numerazione posizionale, a base decimale
Gli Indiani, oltre ai simboli dei numeri, ebbero l’intuizione geniale d’inventare lo “zero”. Quest’idea del “nulla”, che impregna il misticismo religioso induista, è importantissima per la matematica: il nostro sistema di numerazione decimale e posizionale si basa, infatti, su unità, decine, centinaia, etc..
L’uso dello zero ci permette di scrivere con poche cifre, ad esempio il numero “200″ che significa “due centinaia zero decine e zero unità“.

Direi che l’affermazione dello zero e del sistema decimale-posizionale, in Italia ed in Europa, sia dovuta principalmente, oltre al già citato papa Silvestro II, al grande matematico Leonardo Fibonacci.
Gli arabi chiamavano lo zero sifr (صفر): questo termine significa “vuoto” ma nelle traduzioni latine veniva indicato con “cephirum”, cioè zefiro (nella mitologia greca è la personificazione del vento di ponente).Infatti nel “Liber abaci” di Leonardo Fibonacci (Pisa 1170 – Pisa 1250) si può leggere:
“Novem figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1 Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur.”
( Ci sono nove figure degli indiani: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove figure, e con il simbolo 0, che gli arabi chiamano zephiro, qualsiasi numero può essere scritto, come dimostreremo.)
Da zephirus si ebbe zevero e quindi zero.