domenica 22 novembre 2009

Entanglement

Entanglement: tra fisica, metafisica e deismo.

Sono da sempre indirizzato sulla convinzione che la fisica, per la realtà materiale, la filosofia, con la metafisica, e il deismo, per l’esistenza di Dio e per la coscienza, avessero un substrato condiviso e che, inevitabilmente, alla fine dovessero ritrovare il punto comune da cui erano originate. Una soluzione unica per tutti i nostri problemi esistenziali da quelli della realtà materiale a quelli della coscienza. Una singolarità iniziale che, a seguito del big bang, si era dissociata. L’aspetto più facilmente esaminabile, più facilmente solo per il fatto che ci sono riscontri sperimentali, era ed è quello prettamente della fisica, che passo dopo passo, da quella classica di Galilei e Newton, a quella relativistica di Einstein e a quella quantistica di Planck, ha percorso a ritroso la strada verso l’origine. Per la filosofia e la teologia solo discorsi, solo ipotesi non verificabili, brillanti intuizioni, ma foriere di inconcludenti discussioni, nel migliore dei casi, e, nel il peggiore, di dogmi. Sappiamo molto, anche se non tutto, sull’espansione dell’ universo, ma non conosciamo pressoché niente di come si siano potute propagare la presenza di Dio e della coscienza nell’universo. Quando dico “Dio” intendo un “Quid” non necessariamente identificabile con il concetto classico di divinità religiosa.

La scoperta di una proprietà di alcune particelle, che pur essendo separate fisicamente nello spazio, si autoinfluenzano, cioè modificando lo status di una anche l’altra istantaneamente si modifica, apre nuove prospettive e nuovi orizzonti.

La scoperta era sensazionale, come facevano due particelle, in alcuni esperimenti distanziate anche più di 10 km, ma concettualmente situate in qualsiasi parte dell’universo, a rimanere collegate al punto di reagire istantaneamente alle modificazioni apportate su una sola? Perché questo avvenga l’unica condizione è che siano state generate insieme e poi separate.

Da questo fenomeno è nato il principio di non-località, ossia due particelle, generate contemporaneamente nel solito evento e, in seguito, separate spazialmente, non lo sono per tutte le loro proprietà, ma sono “entangled” tra loro. Entanglement, che potremmo tradurre come intrecciato, è il nome che i fisici danno a questo tipo di fenomeno.

La conseguenza dell’entanglement è che la realtà non è affatto come pensavamo che fosse, noi conoscevamo solo l’ordine espletato e non quello impletato, per usare il linguaggio del fisico Bhom. Le isole di un arcipelago ci appaiono separate in superficie (ordine espletato), ma nella profondità marina appartengono tutte alla stessa piattaforma sommersa (ordine impletato). Noi vediamo la realtà al di sopra della superficie, ma non cosa ci sia sotto.

La spiegazione di questo fenomeno si può capire considerando che le due particelle, ma vale per qualsiasi numero, siano immerse in un campo potenziale la cui caratteristica è l’informazione, ossia ogni elemento appartenente al campo “conosce” la posizione degli altri elementi ed è con essi correlato indipendentemente dalla sua localizzazione. Se consideriamo che, perché ci sia entanglement, occorre che gli elementi siano stati generati insieme e se riteniamo vero che l’universo sia nato con il Big Bang, ne segue che tutto l’universo è entangled. Un enorme campo potenziale in cui tutto è correlato e non localizzato, noi compresi, e quella, che consideriamo la realtà, non è altro che una proiezione visibile di un mondo sommerso. Lo strato più profondo che governerebbe l’universo sarebbe il vuoto quantistico, ossia al di sotto della lunghezza di Planck, in una totale non-località, dove sussiste la base di tutto l’esistente, quello che da Bohm è stato chiamato “prespazio”. Una matrice, atemporale ed aspaziale dove energia e materia si compenetrano in un processo ciclico di collasso ed espanzione.

Questa in sintesi e semplificata al massimo. la teoria di Bohm, fisico e filosofo statunitense padre della teoria dell’ipotesi olografica, le cui argomentazioni permettono di ricondurre il tutto ad un Uno ed intrecciano in modo affascinante fisica, metafisica e deismo.

Il fascino di un’ipotesi.

Avendo come input questa teoria, basata su riscontri fisici sperimentali, non si può non pensare all’inconscio collettivo di Carl Gustav Jung.

« [..Gli archetipi..] al mondo effimero della nostra coscienza essi comunicano una vita psichica sconosciuta, appartenente ad un lontano passato; comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di pensare e di sentire, il loro modo di sperimentare la vita e il mondo, gli uomini e gli dei »

L'inconscio collettivo è un contenitore universale, cioè la parte dell'inconscio umano che è comune a quello di tutti gli altri esseri umani. In Esso, sono contenuti gli archetipi, cioè le forme o i simboli, che si riscontano in tutte le culture dell’umanità,e quindi potrebbe essere non la mente razionale individuale, ma la Mente Cosmica.

Ed Einstein:

“….E’ certo che alla base di ogni lavoro scientifico un po’ delicato si trova la convinzione, analoga al sentimento religioso, che il mondo è fondato sulla ragione e può essere compreso.Questa convinzione legata al sentimento profondo della esistenza di una Mente Superiore che si manifesta nel mondo della esperienza, costituisce per me l’idea di Dio; in linguaggio corrente si può chiamarla <>”. (Come io vedo il mondo)

Interessante questo passo di John Henry Newman (Londra, 1801 - Edgbaston 1890, teologo, filosofo e cardinale inglese.)

"Non c'è vero allargamento dello spirito se non quando vi è la possibilità di considerare una molteplicità di oggetti da un solo punto di vista e come un tutto; di accordare a ciascuno il suo vero posto in un sistema universale, di comprendere il valore rispettivo di ciascuno e di stabilire i suoi rapporti di differenza nei confronti degli altri(...)

L'intelletto che possiede questa illuminazione autentica non considera mai una porzione dell'immenso oggetto del sapere, senza tener presente che essa ne è solo una piccola parte e senza fare i raccordi e stabilire le relazioni che sono necessarie. Esso fa in modo che ogni dato certo conduca a tutti gli altri. Cerca di comunicare ad ogni parte un riflesso del tutto, a tal punto che questo tutto diviene nel pensiero come una forma che si insinua e si inserisce all'interno delle parti che lo costituiscono e dona a ciascuna il suo significato ben definito". (Dal blog di Anna http://annavercors.splinder.com/) .

Alla luce di quanto su esposto si potrebbe concludere, che nel substrato dell’universo, il campo potenziale, albergano e coincidono tra loro l’energia, la coscienza universale e la Mente Creatrice, ossia il Tutto.

Capisco che, sia per i cattolici, a causa del latente panteismo, che per i laicisti atei , a causa dell’ammissione di una possibile Mente Creatrice, sia una conclusione difficile da metabolizzare, ma a mio parere è un’ipotesi affascinante.

domenica 5 luglio 2009

venerdì 5 giugno 2009

Le Bufale degli ambientalisti

Riporto l'articolo del prof. Antonino Zichichi a proposito della giornata mondiale dell'ambiente.
Dico subito che gli "scienziati" che fanno politica,come lo stesso Zichichi, Rubbia, Montalcini etc.,non rientrano,a mio giudizio, nel clichè del vero scienziato e su certi premi Nobel sarebbe opportuno approfondire i loro meriti. Infatti il loro principale lavoro è ottenere finanziamenti e favori per le loro equipes e non solo.
Cmq. questo articolo di Z. risulta interessante,anche per il riferimento al Cern e al Big bang. Argomento su cui penso di ritornare, perché un miliardesimo di secondo sembra un tempo vicinissimo al Big Bang, ma in effetti non lo è. La parte più complessa della fisica è ben al di sotto di questo tempo, cioè bisogna scendere ad ordini di grandezza del tempo di Planck.
Marcello

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Giornata dell’ambiente: Come combattere l’inquinamento dei catastrofisti.
di Antonino Zichichi

Il 5 giugno è per l'Onu la Giornata mondiale dell'ambiente. Siccome imperversano i catastrofisti è necessario che questa giornata sia dedicata a capire sia le origini dell'inquinamento ambientale sia quello dell'inquinamento culturale. Entrambi minacciano il futuro di noi tutti. Il catastrofismo nasce dall'uso di modelli matematici che diventano pericolosi se chi li elabora non dice cosa è veramente prevedibile e cosa ha invece bisogno di verifiche sperimentali. Per fare le quali non servono né i comitati né i salotti, ma solo ed esclusivamente i laboratori e gli scienziati.

Nei laboratori del Cern a Ginevra studieremo com'era il mondo un decimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang. La matematica che noi usiamo è simile a quella necessaria per lo studio del Global Warming e dei problemi meteo-climatologici. Ecco perché io posso parlare di questi problemi, lontani dalla mia attività scientifica, ma che per essere descritti hanno bisogno della stessa matematica usata dai catastrofisti. Loro usano un enorme numero di parametri liberi, noi solo uno. Nonostante la superiorità dei nostri modelli matematici facciamo previsioni dicendo che esse debbono essere sottoposte a verifiche sperimentali. Una delle previsioni è l'esistenza del Supermondo. Ma non diciamo: abbiamo un modello matematico rigoroso e siamo sicuri che esiste il Supermondo. Diciamo invece che è necessario fare una serie di esperimenti per sapere se sono vere le nostre previsioni. Per questo abbiamo costruito strumenti potenti e una pista magnetica circolare lunga 27 km. L'ambientalismo dei catastrofisti vuole far credere al grande pubblico che le previsioni dei modelli matematici sono certezze e che può esistere una Scienza interdisciplinare senza essere specialisti nello studio di determinati problemi. Accade che un individuo, sapendo pochissimo di fisica, di chimica e di matematica, diventi specialista in scienze ambientali. La posta in gioco è altissima e sarebbe necessario dar vita a un Progetto mondiale per salvare il mondo dal pericolo di Olocausto ambientale. Questo progetto dovrebbe avere le dimensioni del «Progetto Manhattan», che nella II Guerra mondiale in appena quattro anni ha permesso al mondo libero e democratico di dotarsi delle più potenti tecnologie.

Quello dell'ambiente e della meteo-climatologia è un problema altamente interdisciplinare in cui sono necessari fisici, chimici, matematici di grande valore. Insegna Enrico Fermi - cervello n. 1 del Progetto Manhattan - che la ricerca interdisciplinare nasce dalla collaborazione tra scienziati specialisti in discipline diverse. L'unica strada per battere l'inquinamento culturale dei catastrofisti è portare lo studio dell'ambiente e della difesa delle caratteristiche vitali della Terra, nel cuore della Scienza. L'inquinamento culturale è da tempo che imperversa. Ricordiamo ai lettori più giovani che un terzo di secolo fa era stata prevista la morte del Mediterraneo entro il 2000. In tempi recentissimi i catastrofisti avevano previsto quest'ultimo inverno «sahariano»; e invece si è rivelato il più piovoso degli ultimi cent'anni, per motivi che abbiamo discusso su queste colonne il 23 aprile scorso.

La Giornata mondiale dell'ambiente dovrebbe servire per far capire ai governi che è urgente affidare alla Scienza i problemi da cui dipende il futuro dei sei miliardi e mezzo di passeggeri imbarcati su questa splendida navicella spaziale che gira attorno al Sole. I problemi da risolvere sono numerosi e di notevole complessità; ne abbiamo più volte parlato su queste colonne.

La riflessione che Berlusconi propose alla Comunità Europea voleva evitare il rischio di perdere miliardi e miliardi di euro adottando decisioni sbagliate. Questo rischio è corroborato dalle novità scientifiche emerse in questi mesi e ignorate dai media. Al prossimo G8 Berlusconi proponga la chiusura della riflessione con un nuovo «Progetto Manhattan» per salvare il mondo dal pericolo di Olocausto ambientale.

sabato 30 maggio 2009

domenica 17 maggio 2009

I nomi hanno un significato etimologico

DARIO, DARIA - Di etimologia incerta; secondo alcuni etimologisti, significa reggitore, secondo altri repressore - E' un nome di antichi re persiani. Proviene dal persiano Darayavaush, composto da Daraya “possedere” e Vahu “bene”=che possiede il bene (Re)
Santa Daria di Reggio Emula, la si festeggia il 25 ottobre; San Dario, martire, il 19 dicembre - Sosterrete sempre la virtù, reprimerete il vizio: questo é II comandamento del vostro nome

http://cronologia.leonardo.it/nomi/nomi01.htm

venerdì 15 maggio 2009

lunedì 11 maggio 2009

Lo sapevate che ?


Acquerello di Gino Guidi
La conca del bucato
Da noi si dice : essere al buco della conca, per indicare che siamo alla fine.

E questa è la Passera Mattugia

http://www.agraria.org/faunaselvatica/passeramanttugia.htm

sabato 9 maggio 2009

Voci dalla natura

Gente, non perdetevi questa pagina !

http://www.scricciolo.com/eurosongs/canti.htm#p

martedì 5 maggio 2009

Quale imperativo spinge l'uomo a voler migliorare la specie ?

Watson: usiamo il Dna
per migliorare la specie
Incontro con lo scienziato che nel 1953 ha scoperto con Crick la doppia elica: "Ci aspettano nuove conquiste, soprattutto nella lotta ai tumori"
di ELENA DUSI

Watson: usiamo il Dna
per migliorare la specie


James Watson
In una macchia di luci e di ombre James Watson intravide la forma del codice della vita. Era il 1953 e oggi, a 81 anni, l'uomo che scoprì la doppia elica del Dna insieme a Francis Crick continua ad aguzzare lo sguardo per leggere tra le luci e le ombre della ricerca genetica. Forse i risultati promessi tardano ad arrivare. La cura per molte malattie stenta a rendersi disponibile. Ma negli occhi azzurri limpidi e sempre un po' sgranati di Watson una convinzione resta uguale: "Scienza è sinonimo di attesa e noi non dobbiamo preoccuparci: la strada è quella giusta. Dalla genetica avremo ancora nuovi eroi e notizie bomba. La cosa più entusiasmante che oggi a un uomo sia concessa è leggere il proprio Dna. Nel codice genetico c'è l'essenza di noi esseri umani, le nostre istruzioni per l'uso. Se dovessi scegliere tra viaggiare nello spazio e conoscere il mio genoma, non esiterei un istante".

A dieci anni dal primo annuncio del sequenziamento del genoma umano, immensa è la potenza di fuoco spesa nella scienza del Dna. Nonostante questo, si ha la sensazione che le promesse di nuove cure per le malattie causate da un difetto dei geni (una stima per difetto parla di 5mila, fra cui tumori, fibrosi cistica, còrea di Huntington, anemia falciforme) siano state mantenute solo a metà. Era infatti il 26 giugno 2000 quando un entusiasta Bill Clinton salutò i primi risultati del Progetto genoma umano: "Oggi festeggiamo un evento storico. La lettura del Dna apre nuove strade per prevenire, diagnosticare e curare le malattie".

Quasi dieci anni dopo, il responso è scritto sulle colonne di Nature da un gruppo di ricercatori delle università di Houston, Stanford, Texas e Alberta: "Nonostante l'enorme valore scientifico della ricerca fatta, le nuove tecnologie hanno solo un impatto marginale per la cura delle malattie nella popolazione".
Sgrana gli occhi Watson, a chi gli chiede un bilancio della scienza che è stata sua compagna per più di 60 anni: "Siamo riusciti ad allungare la vita umana tanto, e a migliorarne enormemente la qualità. Come possiamo essere insoddisfatti?". Il freno all'entusiasmo, nella comunità scientifica, nasce dalla consapevolezza che la stele di Rosetta del linguaggio della vita sia più complessa del previsto. All'inondazione di dati sfornati dai computer la nostra comprensione non ha sempre saputo far argine. E la sequenza fluviale di lettere A, T, C e G che si alternano nel Dna di ciascun vivente può dare l'impressione che il libro della vita sia piuttosto un labirinto.

"Siamo molto più complessi di quanto prevedessimo", ammette Watson, che è in Italia per annunciare la sua partecipazione alla quinta conferenza mondiale "Il futuro della scienza", dedicata quest'anno alla "rivoluzione del Dna". L'appuntamento con il convegno organizzato dalle fondazioni Giorgio Cini, Silvio Tronchetti Provera e Umberto Veronesi, che si occupa ogni anno di un tema scientifico che ha particolari riflessi sulla società, è fissato a Venezia tra il 20 e il 22 settembre. "L'idea che a un gene corrisponda la produzione di una singola proteina - spiega Watson - è superata. I frammenti di Dna operano in combinazione fra loro, e queste reti non sono facili da ricostruire. Ma i costi dei computer usati per il sequenziamento stanno crollando. Presto ognuno di noi potrà avere il profilo completo del genoma per mille dollari. A quel punto la scienza non sarà più avara di notizie bomba".

Saranno i tumori, secondo il premio Nobel del 1962, il primo campo della medicina a beneficiare della rivoluzione tecnologica che sta abbattendo i costi della genetica. "È grazie agli studi sul Dna che già oggi conosciamo le cause del cancro a livello molecolare. Nei prossimi dieci anni le diagnosi basate sulla genetica ci faranno penetrare fino in fondo nell'essenza del cancro, dandoci terapie più efficaci. Nel nostro obiettivo ci sono cellule dalla natura così particolare come le staminali".

Maria Ines Colnaghi, direttrice dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro che collaborerà alla conferenza di Venezia con un simposio su tumori e genetica, fa il punto sui benefici concreti della ricerca sul Dna nella cura del cancro. "Già oggi sappiamo individuare le persone con particolari geni che hanno una predisposizione alta ad ammalarsi di cancro. I tumori ereditari coprono circa il 10% del totale dei casi. Controlli costanti, prevenzione a base di farmaci e diagnosi precoce permettono di tenerli a bada. E a ogni paziente negli istituti oncologici italiani viene fornita una diagnosi molecolare per individuare la cura migliore".

Nonostante i primi risultati concreti nell'affrontare i tumori, il campo dove le attese sono più grandi - quello dell'oncologia - è anche quello dove il labirinto del genoma fa girare di più la testa ai ricercatori. Non uno ma circa una decina di geni danneggiati sono alla base della malattia. E questi frammenti di Dna, smentendo gli ottimisti, si sono rivelati molto variabili tra un caso di malattia e l'altro. Invece di avere un'alterazione frequente in una decina di geni, molte forme di cancro mostrano alterazioni rare sparse in centinaia di frammenti diversi del Dna. La rete dei rimandi fra un gene e l'altro è ancora troppo complessa per essere maneggiata e sta avvolgendo le speranze di trovare nuove cure in un bozzolo da cui uscire è difficile.

Per ricostruire questo puzzle con troppi pezzi, si fa ricorso oggi alla potenza delle macchine: sequenziando migliaia di cellule tumorali alla volta si spera con la forza dei numeri di trovare la chiave che accomuna le varie forme di cancro. Ma i costi sono alti, e una serie di articoli sul New England Journal of Medicine un mese fa ha accusato questo approccio di essere tutto muscoli e poco cervello. "L'informazione che se ne ricava - ha scritto il genetista della Duke University David Goldstein - è di scarsa o nulla utilità dal punto di vista clinico".

Serve un colpo di reni, concorda Watson. "La scienza è perseveranza, ma ha anche bisogno di eroi. L'ultimo è stato Jonas Salk, inventore del vaccino della polio. Oggi i ricercatori sono troppo legati alle industrie farmaceutiche, ma credo lo stesso che un nuovo eroe spunterà". Troppo importanti sono i benefici che la genetica può offrire alla nostra specie. "Non dobbiamo avere paura di entrare nell'ignoto - dice uno Watson che non è nuovo alle polemiche e non ha mai fatto mistero del suo favore per l'eugenetica - e se aggiungere tre o quattro geni al Dna servirà a renderci più sani e intelligenti, dobbiamo farlo. L'ingegneria genetica migliorerà gli animali e le piante che ci nutrono. La specie umana è sopravvissuta perché si è continuamente evoluta. Dobbiamo usare gli strumenti a nostra disposizione, non fermarci qui".

L'uomo che oltre 50 anni fa scrutò il codice della vita, è anche stato il primo nel 2007 a leggere il suo Dna sequenziato dalla prima all'ultima lettera. "Ora è su internet, non ho avuto paura di renderlo pubblico per il bene della conoscenza". Al suo interno ha trovato molte informazioni utili. "Il mio metabolismo alza la pressione sanguigna. Sapendolo, sto molto più attento". Ma di fronte a un dato ha preferito fermarsi. "Non voglio sapere se ho la predisposizione all'Alzheimer", dice alzando le mani. "Non serve a niente avere notizie spiacevoli, se non si può fare niente per prevenirle", ammette perfino un ottimista della scienza come lui, capace sempre di afferrare le luci e scansare le ombre.

(5 maggio 2009)

venerdì 1 maggio 2009

Mi pare interessante

Da Tempi.it

http://www.tempi.it/intervista/006549-marco-bersanelli

La temperatura del mare? un rebus. Ma adesso arriva Argo



Scritto da Corrado Fronte
venerdì 01 maggio 2009

Un articolo del prof. Antonio Zecca, professore di chimica fisica dell’atmosfera all’Università di Trento, apparso su le Scienze di Aprile, tratta della cosiddetta “discontinuità del 1945”. Vediamo in cosa consiste. In sintesi, tra 1940 e 1945, l’andamento delle temperature medie globali mostra un picco (definito panettone), seguito da un repentino abbassamento della temperatura di 0,3°C, che viene recuperato con un aumento graduale solamente attorno al 1980.

Quindi per circa 35-40 anni la temperatura terrestre non sarebbe aumentata. Il fatto non è di poco conto. Il prof. Zecca infatti ammette che «i modelli climatici del rapporto IPCC 2007 davano unanimemente risultati non coerenti con quella anomalia». Bisognava trovare una spiegazione.
Dopo ricerche approfondite su migliaia di misurazioni, la CRU (Cimatic Reserach Unit) britannica e la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) americana hanno scoperto che i dati di temperatura del “panettone” erano errati per eccesso, a causa del contributo delle misure di temperatura del mare fatte sull’acqua di raffreddamento dei motori delle navi da guerra americane durante il conflitto mondiale. Tali misure erano influenzate dal calore delle macchine. Invece il metodo più comune usato fin dal XIX secolo era quello di prelevare l’acqua dal mare con un secchio, e questo comportava un errore potenziale opposto, se il secchio non era fatto di materiale termicamente isolante, o in caso di vento. E’ da notare che sulle navi britanniche, ed in genere prima del secondo conflitto mondiale, era in uso il metodo dei secchi non isolati termicamente. Il bilancio porterebbe ad una correzione di -0,3°C, che corrisponde proprio all’altezza del “panettone”. E’ da sottolineare che la temperatura dell’acqua marina è ritenuta rappresentativa all’80-90% della temperatura terrestre.
L’impegno che le due organizzazioni hanno messo nella ricerca è ben giustificato dal fatto che entrambe attivamente collaborano con l’IPCC: sul NOAA magazine di Feb. 2, 2007 si legge: «NOAA individuals and technology made major contributions to the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC ) international climate science report». Il CRU fa addirittura parte dell’IPCC Data Distribution Center (DDC).
Il professor Zecca si dice compiaciuto della capacità autocritica della scienza, e considera «un grande successo del metodo scientifico […] avere individuato le cause dell’anomalo picco […] che ci permette di aver maggior fiducia nelle nostre capacità predittive per il riscaldamento futuro [ …]e conferma la necessità di ridurre le emissioni di gas serra, ed in particolare di CO2». Ma qualcuno potrebbe pensare esattamente il contrario, e trarne motivo di dubbio sulla affidabilità delle rilevazioni passate, che possono contenere errori grossolani ed imprevisti, come la ricerca CRU/NOAA dimostra. Ci sarebbe anche da riflettere sulla distribuzione statistica geografica e stagionale delle misure così fatte. Dall’articolo si evince che esse sono in gran parte prese su rotte di interesse militare e commerciale e non necessariamente rappresentative dell’intero pianeta.
Inevitabile che sorgano ancor maggiori dubbi sull’affidabilità strumentale e sulla validità delle misure di 100 o 150 anni fa, che sono importanti perché punto di riferimento per la misura del preteso aumento di 0,74°C. A quei tempi il problema del riscaldamento globale non era stato ancora inventato, ed i dati raccolti non avevano certo la spinta drammatica di una catastrofe climatica imminente, né lo stimolo di speculazioni multimiliardarie. Ma, secondo quanto enunciato nell’articolo, esse sarebbero state prese con secchi non isolati termicamente, e quindi errate per difetto. Il riscaldamento quindi dovrebbe essere minore di 0,74 °C? Invece no! Secondo il prof. Zecca: «il valore del riscaldamento globale tra il 1850 ed il 2007 rimarrà quello fornito dall’IPCC».
Ad avvalorare la necessità di misure significative della temperatura del mare è nato il progetto ARGO, che permette una ampia raccolta di dati mediante il collocamento su tutta la superficie marina di piccole stazioni galleggianti, attrezzate per misurare la temperatura e la salinità del mare dalla profondità di 2000 metri fino alla superficie. Come primo obiettivo, ne sono già state collocate 3000. Le stazioni sono dotate di batteria solare e mandano i dati agli scienziati via satellite. Ebbene, i dati ottenuti con ARGO dimostrano che dal 2003 ad oggi non c’è stato riscaldamento del mare; anzi, eventualmente un lieve raffreddamento. E questi sono dati statisticamente e tecnologicamente significativi, altro che i secchi !
Quindi la tecnologia avanza, e la verità si fa strada. Come dice il prof. Zecca «in campo scientifico è difficile che un errore o una truffa sopravvivano a lungo». Allora c’è da chiedersi cosa aspettino i sostenitori del Global Warming ad indossare il paracadute e saltare giù da questo mostro volante che sta per schiantarsi.

sabato 25 aprile 2009

Paganesimo all'ONU: Giornata della Madre Terra

Scritto da Paolo Della Sala
venerdì 24 aprile 2009

La cosa sconvolgente è che alla cosa partecipino anche i soliti teologi della "liberation music orchestra". Di Evo Morales e della lega tra ambientalisti e rossi (con gli integralistiislamici) già si sapeva.

Stupisce che questi ignoranti siano atei e "laici", a parole, mentre poi, nei fatti, ritornino a culti pagani che risalgono alla barbarie.
L'ambiente si salva col progresso: ha più fatto per la natura la caduta dell'Impero sovietico, che mille Kyoto. Faranno più le lampadine a LED di quelle a fluoroscenza, mentre è delirante l'imposizione del divieto di vendita di quelle a incandescenza, una legge fascista e idiota, visto che le lampadine a fluorescenza, anche solo per il mercurio che contengono, sono una bomba ecologica.

Da Internationalia :
Con una risoluzione approvata per acclamazione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 22 aprile la Giornata internazionale della Madre Terra (International Mother Earth Day), con cui l’Onu si unisce ufficialmente all’Earth Day celebrato ieri, iniziativa nata negli Stati Uniti nel 1970 e rapidamente diffusa in tutto il mondo. <
La Giornata internazionale della Madre Terra, promossa dal primo presidente indigeno della Bolivia, Evo Morales, “non intende sostituire altri eventi ma piuttosto rafforzarli e reinterpretarli in base alle sfide che ci troviamo ad affrontare” ha detto il presidente dell’Assemblea Miguel D’Escoto.

In un discorso pronunciato alla presenza di Morales, del teologo brasiliano Leonardo Boff e alla canadese Maude Barlow, co-fondatrice del Blue Planet Project, associazione mondiale per la protezione dell’acqua, D’Escoto ha sottolineato l’importanza di dare una dimensione ancor più globale alla lotta per la protezione della natura.
“Tutti noi veniamo dalla Terra e alla Terra ritorneremo. Durante la nostra vita qui, la Terra ci sostiene, si prende cura di noi, purifica l’aria che respiriamo e fornisce alimenti sani e naturali per il nostro sostentamento. Per questo mi piace sentire parlare della Terra come la ‘Madre Terra’. In Bolivia la chiamano Pacha Mama e in Nicaragua i nostri avi la chiamavano Tonantzin. Varianti simili esistono in tutto il mondo in base alle lingue dei popoli indigeni” ha aggiunto D’Escoto.

Nel suo intervento, Morales ha ricordato il “carattere sacro” attribuito dai popoli indigeni andini alla Pacha Mama.
“Il capitalismo selvaggio – ha detto il presidente boliviano – ha trasformato questa devozione nello sfruttamento dell’ambiente al punto di provocare la scomparsa del ‘poncho bianco’ delle vette e il prosciugamento delle lagune…Questo sviluppo non può essere infinito, perché la vita dell’uomo non è possibile senza la Madre Terra”.
Da:http://leguerrecivili.splinder.com/

mercoledì 15 aprile 2009

Il vino come medicina ?

Roma, 14 apr. (Adnkronos Salute) - Il vino come medicina? Già gli antichi egizi, attorno al 3150 a.C., utilizzavano le proprietà benefiche del 'nettare degli Dei', arricchendolo con erbe e resine di vario genere per ottenere gli effetti salutari più disparati. Lo affermano sulla rivista 'Proceedings of the National Academy of Sciences' (Pnas) gli studiosi dell'università della Pennsylvania (Usa). Una buona notizia per l'Italia che nel 2008, con una vendemmia di 45 milioni di ettolitri (+5%), ha superato la produzione della Francia. L'analisi chimica di alcune damigiane ritrovate in scavi antichi ha infatti rilevato la presenza di sostanze provenienti da alberi immerse nel vino, al quale venivano quindi riconosciute proprietà medicinali. Gli effetti positivi del consumo moderato di vino - sottolinea la Coldiretti in una nota commentando la ricerca - sono stati confermati da numerosi studi scientifici. Negli Stati Uniti è stata addirittura data la possibilità a un produttore di indicare sulle etichette del proprio vino il contenuto di resveratrolo, un importante antiossidante con effetti benefici sull'apparato cardiovascolare. E' soprattutto questa sostanza, presente in particolare nel vino rosso, ad avere un'influenza positiva sulla salute, dimostrata dal cosiddetto 'paradosso francese': oltralpe, infatti, si soffre meno di disturbi cardiovascolari nonostante il consumo di cibi grassi, perché si beve molto vino rosso. Recenti studi medici - prosegue la nota - hanno poi stabilito che il consumo prolungato di vino determina modificazioni strutturali a carico di componenti del sangue: i globuli rossi, le piastrine e altri fattori della coagulazione provenienti dal sangue di persone considerate 'bevitori abituali', hanno una resistenza superiore nei confronti di stimoli ossidativi rispetto alle cellule sanguigne degli astemi. Altri filoni di ricerca sono quelli sulle proprietà anti-invecchiamento delle cellule, sulla cosmesi, sulla chirurgia plastica, sulla prevenzione dei tumori e dello stress e sugli allergeni: in quest'ultimo caso, secondo gli ultimi studi il potenziale allergenico di alcune sostanze nel vino verrebbe annullato.

domenica 12 aprile 2009

Chi sono gli Ufo ?

"I veri Ufo eravamo noi" PDF Stampa E-mail
Scritto da Maurizio Molinari
domenica 12 aprile 2009
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Cade il segreto militare sull'Area 51. Un veterano: “Testate qui le armi segrete Usa”
L’aereo più veloce del mondo, successive generazioni di velivoli-spia, la capsula lunare Apollo e una base sotto il sito dei test nucleari dove l’accesso è proibito: sono le prime, scarne, notizie sui segreti dell’Area 51 che emergono da documenti del governo Usa declassificati dalla Cia, che ha anche autorizzato a parlare alcuni dei tecnici che vi hanno lavorato. L’Area 51, a poco più di un’ora di auto a nord-ovest di Las Vegas in Nevada, è la base aerea della quale il governo non riconosce neanche l’esistenza ma dove gli esperti di Ufo ritengono che siano nascosti, dalla fine degli Anni 40, dischi volanti e corpi di extraterrestri. Le testimonianze di tecnici ed esperti della base lasciano aperta tale ipotesi perché, come dice lo scienziato Stanton Friedman, «c’è una base sotterranea» sotto il sito nucleare Jackass Flats nella quale entrano in pochi e «l’esistenza di segreti governativi è un fatto della vita come tanti altri».

Ciò che accomuna i documenti declassificati è come il personale dell’Area 51 si sia giovato negli anni delle voci sulla presenza di Ufo al fine di celare i progetti che il Pentagono stava realizzando nel massimo della segretezza. Fra questi il primo aereo-razzo degli Stati Uniti, l’X-15, la capsula spaziale Apollo che venne adoperata per raggiungere la Luna e anche i veicoli che servirono ai primi astronauti per atterrare e spostarsi sul Pianeta sconosciuto. In ogni occasione, racconta Thornton Barnes, ex ingegnere dei progetti speciali dell’Area 51, «i veri Ufo eravamo noi» perché i team tecnici lavoravano con la sicurezza che quanto di più anomalo fosse stato osservato da lontano sarebbe stato scambiato per una traccia di esistenza extraterrestre.

«I miti degli Ufo resero molto più agevole il nostro lavoro», ammette Barnes, che ha collaborato anche al progetto A-12 Oxcart che la Cia ha deciso iniziare a svelare ad oltre 50 anni dalla realizzazione. Si tratta di un aereo superveloce Mach-3, che nel bel mezzo della Guerra Fredda venne realizzato dalla Lockheed al termine di una fase di sperimentazione molto lunga e faticosa. Vennero fatti 2850 test di volo con l’impiego di centinaia di tecnici e alla fine il Pentagono riuscì ad avere quanto cercava: un velivolo in grado di viaggiare a 2200 miglia orarie e 30 mila metri di altezza, ovvero l’aereo più veloce del mondo che nessun sistema di sorveglianza dell’Urss sarebbe mai riuscito a intercettare e neanche a vedere.

Barnes, che era un esperto di Mig sovietici, venne scelto dalla Cia per seguire il progetto Oxcart al fine di bucare le difese aeree sovietico e l’intento venne raggiunto a metà degli Anni 60 moltiplicando test di volo talmente anomali da dare l’impressione di essere dei sorvoli di Ufo perché da lontano si vedevano solo lunghe scie di luce che sparivano immediatamente. Poiché Oxcart era un segreto gelosamente custodito da Cia e aviazione, spesso i suoi voli di prova facevano scattare l’allarme Ufo da parte di altre agenzie governative. Oxcart fu in quel periodo un fiore all’occhiello della Difesa americana, confermò di essere un’arma che metteva in difficoltà i sovietici e per l’ex supervisore di voli Harry Martin, che oggi ha 77 anni, coincise con «il periodo più bello della mia carriera» perché fu il frutto del lavoro «del migliore gruppo di persone con le quali abbia mai lavorato». I racconti dei tecnici, che la Cia ha autorizzato a parlare con il «Los Angeles Times», convergono nello spiegare che l’Area 51 servì alla Cia soprattutto per realizzare e testare diverse generazioni di aerei spia destinati a sorvegliare dall’alto il territorio dell’Unione Sovietica dopo l’abbattimento nel 1960 dell’U2 che obbligò a una rapida sostituzione. Il caccia F-117 Stealth, invisibile ai radar e adoperato nei conflitti degli ultimi anni, è il diretto discendente di questa tecnologia.

Da:lastampa.it

venerdì 10 aprile 2009

L'inganno mediatico e le panzane nucleari

di Vincenzo Romanello - Aprile 2009

http://www.archivionucleare.com/files//inganno-mediatico-panzane-nucleari_romanello.pdf

raccolto da Facebook.

lunedì 6 aprile 2009

su Giorgio Squinzi e la chimica

Lunedì 06 Aprile 2009
Squinzi: sviluppo del futuro ha una base decisiva nell’industria
Scritto da eda
lunedì 06 aprile 2009

(Velino) - Il presidente di Federchimica, Giorgio Squinzi, rivendica il ruolo della chimica nello sviluppo sostenibile. Lo fa presentando a Milano nella sede dell’associazione, un video realizzato con molto scrupolo e molta attenzione: “Chimica oltre il luogo comune”, alla presenza del vicepresidente del Parlamento europeo, Mario Mauro. Il documentario è un autentico viaggio a ritroso nella storia italiana del Dopoguerra: prima la necessità di uscire dalla miseria, poi lo sviluppo economico, poi le istanze ambientaliste e i nuovi concetti di sostenibilità. E la correttezza degli industriali della chimica italiana che, tanto per citare, ha superato di quattro volte l’obiettivo dei protocolli di Kyoto. “La chimica da noi ha fatto sempre tanto rumore – ha detto Squinzi – e non ha mai avuto la considerazione che le spetta. Penso che la chimica italiana meriti a pieno titolo una rilettura che le dia una giusta collocazione. Questa è l’occasione per ripercorrere il nostro operato. Abbiamo descritto la storia dell’industria chimica in modo obiettivo, con trasparenza, convintissimi che meritiamo un posto di prima grandezza nella storia, nel presente e nel futuro del Paese”.

Il patron della Mapei ha insistito su questo concetto: “L’industria chimica ha un ruolo chiave per lo sviluppo del Paese e per il benessere, perché rende disponibili sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche praticamente per tutti i settori economici". Quasi didascalico, il presidente di Federchimica ha ricordato: “E’ fatto di chimica in genere il 14 per cento di un’automobile, il 25 per cento di un divano o di una scarpa, il 30 per cento di un elettrodomestico e di un attrezzo sportivo, il 47 per cento di un paio d’occhiali o di un cosmetico. La chimica è soprattutto alla base dello sviluppo futuro, grazie al suo legame con la ricerca e l’innovazione”.

Infine Squinzi ha concluso: “Le sfide principali che l’umanità ha di fronte e la difficilissima crisi economica in cui viviamo esigono nuove soluzioni, molte delle quali possono essere implementate solo grazie a nuovi materiali e sostanze. Si pensi solamente alle necessità alimentari, al Climate Change, alle nuove esigenze connesse all’invecchiamento, alla prevenzione ambientale e ai rifiuti”. Mario Mauro ha commentato il video di Federchimica e le parole di Giorgio Squinzi con favore e apprezzamento: “L’industria chimica è un settore chiave per l’economia europea. I nuovi settori della chimica e l’uso sostenibile delle risorse naturali sono indispensabili anche per affrontare alcuni temi urgenti richiamati dalla crisi economica. L’industria chimica, infatti, sviluppando continuamente innovazione può essere utile a superare l’attuale situazione d’empasse. E’ necessario allora che l’Italia ritorni ad avere un ruolo di primo piano in questo settore”.

Riscaldamento globale



Bjørn Lomborg: Riscaldamento globale? I veri problemi del mondo sono ben altro!
Scritto da Corrado Fronte
venerdì 03 aprile 2009

Bjørn Lomborg
Bjørn Lomborg è una delle personalità più in vista ed influenti tra gli studiosi che denunciano la infondatezza dell’allarmismo sul Riscaldamento Globale. Già professore associato di statistica al Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Aarhus in Danimarca, direttore dell’ Environmental Assessment Institute nazionale danese, è ora professore associato alla Copenhagen Business School.

Nel 2004 la rivista Time ha incluso Lomborg tra le 100 personalità più influenti del mondo. Nel 2008 è stato nominato dal UK Guardian “una delle 50 persone che potrebbero salvare il pianeta” ; dalla rivista Foreign Policy and Prospect è stato definito “uno tra i 100 più importanti intellettuali”; e da Esquire “uno dei 75 più influenti personaggi del 21esimo secolo”.
Il suo merito maggiore è stato quello di aver fondato il Copenhagen Consensus Center, che tuttora dirige. Si tratta un organismo di altissimo livello che raduna alcuni tra i massimi economisti mondali, tra cui 5 premi Nobel, ed che ha stilato un elenco delle maggiori emergenze mondiali.
Bjørn Lomborg ha scritto due libri pubblicati in Italia da Mondadori: L’ambientalista scettico e Stiamo Freschi. E da quest’ultimo libro, per gentile concessione dell’autore e della casa editrice, pubblichiamo alcune pagine, nelle quali vengono messi a confronto i problemi del mondo con il Riscaldamento Globale.

I paesi del Terzo mondo hanno moltissimi problemi urgenti da risolvere, come per esempio quasi 4 milioni di morti per denutrizione, 3 milioni per l'HIV/ AIDS 2,5milioni per l'inquinamento dell’aria degli ambienti sia interni sia esterni, più 2milioni per carenze nutrizionali (ferro, zinco e vitamina A), quasi 2 milioni per mancanza di acqua potabile. Anche se il riscaldamento globale aggrava alcuni di questi problemi , è importante sottolineare che la loro vastità è probabilmente molto maggiore delle conseguenze del riscaldamento globale. Così le politiche volte a risolvere i problemi nella loro totalità avranno sulle persone effetti di gran lunga più benefici di quelle destinate a ridurre i piccoli inconvenienti aggiuntivi provocati dal riscaldamento globale. E mi domando di nuovo: per ottenere questi benefici, esistono modi migliori che ridurre l'anidride carbonica? Dobbiamo chiederci da dove vogliamo iniziare. È un quesito al quale mi sono dedicato a fondo tramite il progetto chiamato Copenhagen Consensus. Abbiamo domandato ad alcuni dei più autorevoli economisti a livello mondiale dove sarebbe stato possibile ottenere più in fretta i migliori risultati avendo a disposizione strumenti straordinari. Per ogni problema, abbiamo pregato gli esperti di proporre le migliori soluzioni. Per il riscaldamento globale avrebbero potuto essere la tassa sull' anidride carbonica o il protocollo di Kyoto, per la denutrizione la ricerca nell'agricoltura e per la malaria le zanzariere. Gli esperti non si sono limitati a dire che le soluzioni suggerite avrebbero potuto funzionare, ma ne hanno quantificato gli effetti e valutato il costo. In pratica, hanno stimato il valore in dollari di diverse soluzioni, proprio come si era fatto per il clima. In quel caso, avevano valutato i benefici di Kyoto per i singoli impatti positivi su agricoltura, selvicoltura, pesca, risorse
idriche, danni degli uragani e così via, e ne avevano valutato i costi attraverso le perdite di produzione. Nel caso della malaria, gli effetti positivi consisterebbero nel valore di un numero inferiore di morti, di malati, di assenti dal lavoro, di una popolazione più resistente anche ad altre malattie e di un aumento di produzione. L'unico costo sarebbe la cifra in dollari spesa per comperare, distribuire e usare le zanzariere.
Un gruppo di economisti di massimo livello, compresi quattro premi Nobel ha quindi redatto la prima lista mai compilata delle priorità globali, riportata nella tabella 1. In essa si dividono le opportunità di risolvere i problemi del pianeta in «ottime», «buone» e «mediocri», secondo il vantaggio che se ne trae per ogni dollaro speso. «Cattive» opportunità sono quelle in cui ogni dollaro procura un vantaggio valutato meno di 1 dollaro.

TABELLA 1
Lista delle priorità globali di investimento di risorse straordinarie
emersa dal Copenhagen Consensus del 2004.

Image - vedi tabella iniziale


Talune delle principali priorità corrispondono anche ad alcuni dei principali fattori di rischio identificati dall'OMS. Prevenire l'HIV/AIDS risulta essere il migliore investimento che l'umanità potrebbe fare: ogni dollaro speso in preservativi e informazione creerà un valore di circa 40 dollari di beneficio sociale (il valore di meno morti, meno malati, meno disgregazione sociale e così via). Con 27 miliardi di dollari, si possono salvare 28 milioni di vite nei prossimi anni.
La denutrizione uccide circa 4 milioni di persone ogni anno. In modo forse ancora più drammatico, colpisce più della metà della popolazione mondiale producendo danni alla vista, abbassando il quoziente intellettivo, limitando lo sviluppo e la produttività umana. Se si investissero 12 miliardi dollari, se ne potrebbero forse dimezzare i tassi di incidenza e di morte, perché ogni dollaro genererebbe un valore superiore a 30 dollari di benefici sociali. Sarebbe un grande vantaggio per tutti se il Primo mondo sospendesse i sussidi agli agricoltori, consentendo il libero commercio. I modelli suggeriscono che si potrebbe arrivare a benefici superiori a 2400 miliardi di dollari all’anno, metà dei quali andrebbero al Terzo mondo. Per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario liquidare gli agricoltori del Primo mondo, abituati ai vantaggi di un mercato chiuso, ma ogni dollaro investito creerebbe un beneficio sociale del valore di oltre 15 dollari. Infine, la malaria si porta via ogni anno 1 milione di vite. Colpisce circa 2 miliardi di persone ogni 12 mesi (molte di loro più volte) e provoca una diffusa debilitazione. Eppure un investimento di 13 miliardi di dollari ne ridurrebbe della metà l'incidenza, proteggerebbe il 90% dei neonati e ridurrebbe del 72% le morti dei bambini sotto i 5 anni. Per ogni dollaro speso avremmo un valore di almeno l0 dollari di beneficio sociale: un investimento davvero ottimo, soprattutto se consideriamo che verrebbero salvate molte vite in quei paesi che sopportano il peso dei maggiori problemi del mondo. All'estremo opposto, cioè in cima alla lista delle «cattive opportunità», i premi Nobel hanno collocato quelle legate ai cambiamenti climatici, Kyoto compreso, ricalcando quanto abbiamo già detto, e cioè che per ogni dollaro speso finiremmo per produrre molto meno di 1 dollaro a vantaggio del mondo.

Bjorn Lomborg, Stiamo freschi, © 2008 Arnoldo Mondadori Editore, Milano - per gentile concessione

sabato 4 aprile 2009

Scoperto gene Baluardo che blocca metastasi

PADOVA - Si chiama p63 il gene capace di funzionare da "baluardo" contro la diffusione metastatica delle cellule tumorali. E' il risultato di uno studio condotto da due gruppi di ricerca delle Università di Padova e di Modena e Reggio Emilia, pubblicato sulla rivista scientifica "Cell". I due team di ricercatori sono stati guidati dal prof. Stefano Piccolo, docente del Dipartimento di Biotecnologie mediche di Padova, e dal Prof. Silvio Bicciato (ex ricercatore dell'Ateneo patavino) del Dipartimento di Scienze Biomediche di Modena e Reggio Emilia. Il processo metastatico, attraverso il quale una cellula lascia il tumore primario ed entra nel sistema circolatorio per disseminarsi in altri organi, è la principale causa di morte associata alla patologia neoplastica. Come ogni processo biologico, anche la metastasi dipende dalla coordinata accensione e spegnimento di decine, forse centinaia, di geni. Questo programma non viene inventato 'de novo' dalle cellule tumorali, ma fa parte del normale repertorio di cellule embrionali, che durante la costruzione degli organi sono stimolate a migrare da speciali segnali ormonali, quali i Tgf-beta. Le cellule tumorali metastatiche semplicemente risvegliano questo "programma". Fino ad ora, si pensava che questo recupero di capacità embrionali fosse un potere ad appannaggio di poche cellule nel tumore primario. Lo studio padovano segna ora una decisa svolta: i ricercatori hanno infatti scoperto che lesioni genetiche comuni a molti tumori umani, quali quelle di p53 e di Ras, se combinate, definiscono una propensione a un comportamento metastatico già in stadi precoci della malattia. Questo significa individuare fin da subito un tipo di tumore da trattare in modo più aggressivo attraverso chirurgia o altre terapie. I ricercatori hanno compreso come gli stimoli oncogenici erodano e progressivamente indeboliscano le proprietà antimetastasi di p63. "Questa è una proteina nota per svolgere un ruolo importante nelle cellule staminali di molti organi - spiega il prof. Piccolo -. Se p63 è persa da una cellula normale, ciò non causa alcun danno, perché senza p63 quella cellula semplicemente muore. Ma se p63 è persa da una cellula staminale tumorale, ovvero potenzialmente immortale, allora si apre la porta a un suo comportamento 'asociale', alla possibilità cioé di un suo spostamento e alla conseguente metastasi". Ma come individuare quei tumori che partono con il "piede sbagliato"? Per rispondere a questa domanda il gruppo guidato dal prof. Silvio Bicciato ha individuato dei geni 'indicatori' capaci di rivelare la presenza, o meno, del gene antimetastasi p63. "L'utilizzo clinico di queste nuove spie molecolari - sottolinea Bicciato - permetterà all'oncologo la scelta della cura migliore, più personalizzata, ovvero quella che meglio si adatta alle forze genetiche che guidano l'avanzamento della malattia in un determinato paziente". Lo studio è stato possibile anche grazie al fondamentale contributo dell'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (Airc) e della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che ha individuato nei professori Piccolo e Bicciato i primi destinatari dei progetti di eccellenza avviati nel 2007.

venerdì 3 aprile 2009

Importanza del sonno

Non dormendo, nel cervello si accumulano proteine in eccesso sui ponti di contatto tra neuroni, le sinapsi, appesantendone il funzionamento.
Lo hanno scoperto scienziati italiani superesperti della scienza del sonno.
Pubblicata sulla rivista Science, la scoperta e' importante perche' rappresenta una prova diretta della teoria secondo cui il sonno e' il momento in cui il cervello fa ordine dentro di se', incasellando le informazioni accumulate il giorno precedente ed eliminando il superfluo.
ANSA, 2 aprile 2009

giovedì 2 aprile 2009

iL BLOG DI FAUSTO CARIOTI

http://aconservativemind.blogspot.com/2009/01/lautorevolezza-dei-critici-del-global.html

lunedì 30 marzo 2009

Lo zero: non solo aritmetica

Lo guardi e non lo vedi lo ascolti e non lo senti ma se lo adoperi è inesauribile
(dal “ Tao Te King” di Lao Tse, VI sec a.C.)

E’ il Tao, l’Assoluto, ma sono parole che si adattano bene anche allo zero, un numero molto speciale e, per molto tempo, avversato, che richiede un esame attento. E’ un numero nel cui substrato si annidano, oltre la matematica, i concetti del Nulla e dell’Infinito.
Il concetto di zero, appartiene alla cultura indiana, come del resto le altre cifre dall’uno al nove, oggi in uso, fu, in Europa, inizialmente guardato con sospetto, in fondo usare lo zero comportava l’ammissione dell’esistenza del Nulla, con le relative implicazioni filosofiche e religiose.
Questa avversione aveva radici lontane: i greci, sia in epoca classica che in epoca ellenistica, non danno un valore numerico al nulla. Per di più grandi filosofi, come Platone ed Aristotele, ne teorizzavano la non esistenza. Se il niente non può esistere, non può esistere neanche un numero che lo rappresenti e su questo indirizzo era anche la chiesa.
Gerberto d’Aurillac, celebre matematico,più conosciuto come papa Silvestro II nel 999, è stato fra i primi divulgatori, nella cultura occidentale, delle cifre indiane e dello zero. Cifre, trasmesseci dagli arabi, che aveva conosciuto durante un suo viaggio in Spagna nel 967. Molti dubbi rimanevano tra i teologhi più intransigenti ma, da lui in poi,lo zero assume il suo ruolo fondamentale, tanto che in un manoscritto del monastero di Salem, del XII secolo si può leggere:“Ogni numero nasce dall’Uno e questo deriva dallo Zero. In questo c’è un grande sacro mistero: Dio è rappresentato da ciò che non ha né inizio né fine; e proprio come lo zero non accresce né diminuisce un altro numero al quale venga sommato o dal quale venga sottratto, così Egli né cresce né diminuisce”.

Lo zero ha la proprietà di “essere” il nulla o l’infinito, moltiplicando un numero per zero il risultato è sempre zero, dividendo un numero per zero il risultato è infinito. Dunque lo zero è l’ alfa o l’omega: il principio o la fine.

Forse dipende da noi la scelta dell’operatore: moltiplicare o dividere?
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Alcune notizie sulla storia dei numeri.
I numeri sono antichi tanto quanto il genere umano, anche l’uomo del paleolitico doveva contare “qualcosa” ed è sempre stata una necessità della vita di tutti i giorni. Ad esempio nella pastorizia, contare il numero dei capi era essenziale, ma intuitivamente si partiva dal numero uno: 1 pecora,2 pecore etc. Che significato poteva avere zero pecore? Nessuno a quel tempo. Per questo motivo gli antichi popoli come egizi, greci, romani non conoscevano lo zero, i babilonesi che erano molto evoluti, consideravano due simboli cuneiformi,quasi due barrette oblique, non tanto come zero quanto come mancanza di una cifra. (Il sistema babilonese era sessagesimale )




Molto probabilmente i primi ad adottare lo zero, come numero, furono i Maya,con il loro sistema vigesimale ,cioè in base venti.


I Maya per indicare un ordine numerico vuoto inventarono lo zero. Lo rappresentavano usando diversi glifi per lo più a forma di conchiglia. Si pensa che l’introduzione del numero zero sia dovuta anche per motivi religiosi, non dimentichiamoci che i maya avevano elaborato un calendario molto preciso e sapevano fare calcoli astronomici elaborati, che servivano a determinare le date delle ricorrenze religiose. Un calendario che arriva fino al nostro 2012!!!
Il Brahmasphutasiddhanta costituisce la fonte più antica conosciuta,dopo i maya, a considerare lo zero un numero ed enuncia anche regole aritmetiche e sui numeri negativi.
L’aspetto più interessante è l’ usare un numero limitato di simboli con cui scrivere tutti i numeri, secondo alcuni studiosi, dovuto alla conoscenza diretta o tramite i greci, del sistema sessagesimale babilonese, ben più antico. Gli indiani avrebbero allora iniziato ad utilizzare solamente i primi 9 simboli del loro sistema decimale in caratteri Brahmi, in uso dal III secolo a.C. Questi simboli assumono forme leggermente diverse secondo le località ed il periodo temporale, ma sono comunque questi che gli arabi più tardi copiarono e che, in seguito sono passati in Europa fino alla forma definitiva standardizzata dalla stampa nel XV secolo.

Indiani (XI sec. d.C.)
numerazione posizionale, a base decimale
Gli Indiani, oltre ai simboli dei numeri, ebbero l’intuizione geniale d’inventare lo “zero”. Quest’idea del “nulla”, che impregna il misticismo religioso induista, è importantissima per la matematica: il nostro sistema di numerazione decimale e posizionale si basa, infatti, su unità, decine, centinaia, etc..
L’uso dello zero ci permette di scrivere con poche cifre, ad esempio il numero “200″ che significa “due centinaia zero decine e zero unità“.

Direi che l’affermazione dello zero e del sistema decimale-posizionale, in Italia ed in Europa, sia dovuta principalmente, oltre al già citato papa Silvestro II, al grande matematico Leonardo Fibonacci.
Gli arabi chiamavano lo zero sifr (صفر): questo termine significa “vuoto” ma nelle traduzioni latine veniva indicato con “cephirum”, cioè zefiro (nella mitologia greca è la personificazione del vento di ponente).Infatti nel “Liber abaci” di Leonardo Fibonacci (Pisa 1170 – Pisa 1250) si può leggere:
“Novem figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1 Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur.”
( Ci sono nove figure degli indiani: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove figure, e con il simbolo 0, che gli arabi chiamano zephiro, qualsiasi numero può essere scritto, come dimostreremo.)
Da zephirus si ebbe zevero e quindi zero.