martedì 5 maggio 2009

Quale imperativo spinge l'uomo a voler migliorare la specie ?

Watson: usiamo il Dna
per migliorare la specie
Incontro con lo scienziato che nel 1953 ha scoperto con Crick la doppia elica: "Ci aspettano nuove conquiste, soprattutto nella lotta ai tumori"
di ELENA DUSI

Watson: usiamo il Dna
per migliorare la specie


James Watson
In una macchia di luci e di ombre James Watson intravide la forma del codice della vita. Era il 1953 e oggi, a 81 anni, l'uomo che scoprì la doppia elica del Dna insieme a Francis Crick continua ad aguzzare lo sguardo per leggere tra le luci e le ombre della ricerca genetica. Forse i risultati promessi tardano ad arrivare. La cura per molte malattie stenta a rendersi disponibile. Ma negli occhi azzurri limpidi e sempre un po' sgranati di Watson una convinzione resta uguale: "Scienza è sinonimo di attesa e noi non dobbiamo preoccuparci: la strada è quella giusta. Dalla genetica avremo ancora nuovi eroi e notizie bomba. La cosa più entusiasmante che oggi a un uomo sia concessa è leggere il proprio Dna. Nel codice genetico c'è l'essenza di noi esseri umani, le nostre istruzioni per l'uso. Se dovessi scegliere tra viaggiare nello spazio e conoscere il mio genoma, non esiterei un istante".

A dieci anni dal primo annuncio del sequenziamento del genoma umano, immensa è la potenza di fuoco spesa nella scienza del Dna. Nonostante questo, si ha la sensazione che le promesse di nuove cure per le malattie causate da un difetto dei geni (una stima per difetto parla di 5mila, fra cui tumori, fibrosi cistica, còrea di Huntington, anemia falciforme) siano state mantenute solo a metà. Era infatti il 26 giugno 2000 quando un entusiasta Bill Clinton salutò i primi risultati del Progetto genoma umano: "Oggi festeggiamo un evento storico. La lettura del Dna apre nuove strade per prevenire, diagnosticare e curare le malattie".

Quasi dieci anni dopo, il responso è scritto sulle colonne di Nature da un gruppo di ricercatori delle università di Houston, Stanford, Texas e Alberta: "Nonostante l'enorme valore scientifico della ricerca fatta, le nuove tecnologie hanno solo un impatto marginale per la cura delle malattie nella popolazione".
Sgrana gli occhi Watson, a chi gli chiede un bilancio della scienza che è stata sua compagna per più di 60 anni: "Siamo riusciti ad allungare la vita umana tanto, e a migliorarne enormemente la qualità. Come possiamo essere insoddisfatti?". Il freno all'entusiasmo, nella comunità scientifica, nasce dalla consapevolezza che la stele di Rosetta del linguaggio della vita sia più complessa del previsto. All'inondazione di dati sfornati dai computer la nostra comprensione non ha sempre saputo far argine. E la sequenza fluviale di lettere A, T, C e G che si alternano nel Dna di ciascun vivente può dare l'impressione che il libro della vita sia piuttosto un labirinto.

"Siamo molto più complessi di quanto prevedessimo", ammette Watson, che è in Italia per annunciare la sua partecipazione alla quinta conferenza mondiale "Il futuro della scienza", dedicata quest'anno alla "rivoluzione del Dna". L'appuntamento con il convegno organizzato dalle fondazioni Giorgio Cini, Silvio Tronchetti Provera e Umberto Veronesi, che si occupa ogni anno di un tema scientifico che ha particolari riflessi sulla società, è fissato a Venezia tra il 20 e il 22 settembre. "L'idea che a un gene corrisponda la produzione di una singola proteina - spiega Watson - è superata. I frammenti di Dna operano in combinazione fra loro, e queste reti non sono facili da ricostruire. Ma i costi dei computer usati per il sequenziamento stanno crollando. Presto ognuno di noi potrà avere il profilo completo del genoma per mille dollari. A quel punto la scienza non sarà più avara di notizie bomba".

Saranno i tumori, secondo il premio Nobel del 1962, il primo campo della medicina a beneficiare della rivoluzione tecnologica che sta abbattendo i costi della genetica. "È grazie agli studi sul Dna che già oggi conosciamo le cause del cancro a livello molecolare. Nei prossimi dieci anni le diagnosi basate sulla genetica ci faranno penetrare fino in fondo nell'essenza del cancro, dandoci terapie più efficaci. Nel nostro obiettivo ci sono cellule dalla natura così particolare come le staminali".

Maria Ines Colnaghi, direttrice dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro che collaborerà alla conferenza di Venezia con un simposio su tumori e genetica, fa il punto sui benefici concreti della ricerca sul Dna nella cura del cancro. "Già oggi sappiamo individuare le persone con particolari geni che hanno una predisposizione alta ad ammalarsi di cancro. I tumori ereditari coprono circa il 10% del totale dei casi. Controlli costanti, prevenzione a base di farmaci e diagnosi precoce permettono di tenerli a bada. E a ogni paziente negli istituti oncologici italiani viene fornita una diagnosi molecolare per individuare la cura migliore".

Nonostante i primi risultati concreti nell'affrontare i tumori, il campo dove le attese sono più grandi - quello dell'oncologia - è anche quello dove il labirinto del genoma fa girare di più la testa ai ricercatori. Non uno ma circa una decina di geni danneggiati sono alla base della malattia. E questi frammenti di Dna, smentendo gli ottimisti, si sono rivelati molto variabili tra un caso di malattia e l'altro. Invece di avere un'alterazione frequente in una decina di geni, molte forme di cancro mostrano alterazioni rare sparse in centinaia di frammenti diversi del Dna. La rete dei rimandi fra un gene e l'altro è ancora troppo complessa per essere maneggiata e sta avvolgendo le speranze di trovare nuove cure in un bozzolo da cui uscire è difficile.

Per ricostruire questo puzzle con troppi pezzi, si fa ricorso oggi alla potenza delle macchine: sequenziando migliaia di cellule tumorali alla volta si spera con la forza dei numeri di trovare la chiave che accomuna le varie forme di cancro. Ma i costi sono alti, e una serie di articoli sul New England Journal of Medicine un mese fa ha accusato questo approccio di essere tutto muscoli e poco cervello. "L'informazione che se ne ricava - ha scritto il genetista della Duke University David Goldstein - è di scarsa o nulla utilità dal punto di vista clinico".

Serve un colpo di reni, concorda Watson. "La scienza è perseveranza, ma ha anche bisogno di eroi. L'ultimo è stato Jonas Salk, inventore del vaccino della polio. Oggi i ricercatori sono troppo legati alle industrie farmaceutiche, ma credo lo stesso che un nuovo eroe spunterà". Troppo importanti sono i benefici che la genetica può offrire alla nostra specie. "Non dobbiamo avere paura di entrare nell'ignoto - dice uno Watson che non è nuovo alle polemiche e non ha mai fatto mistero del suo favore per l'eugenetica - e se aggiungere tre o quattro geni al Dna servirà a renderci più sani e intelligenti, dobbiamo farlo. L'ingegneria genetica migliorerà gli animali e le piante che ci nutrono. La specie umana è sopravvissuta perché si è continuamente evoluta. Dobbiamo usare gli strumenti a nostra disposizione, non fermarci qui".

L'uomo che oltre 50 anni fa scrutò il codice della vita, è anche stato il primo nel 2007 a leggere il suo Dna sequenziato dalla prima all'ultima lettera. "Ora è su internet, non ho avuto paura di renderlo pubblico per il bene della conoscenza". Al suo interno ha trovato molte informazioni utili. "Il mio metabolismo alza la pressione sanguigna. Sapendolo, sto molto più attento". Ma di fronte a un dato ha preferito fermarsi. "Non voglio sapere se ho la predisposizione all'Alzheimer", dice alzando le mani. "Non serve a niente avere notizie spiacevoli, se non si può fare niente per prevenirle", ammette perfino un ottimista della scienza come lui, capace sempre di afferrare le luci e scansare le ombre.

(5 maggio 2009)

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